La rivoluzione dei girasoli – Di Papà travel Experience

Continuo a camminare. Avanzo, ma non sono metri quelli che attraverso. Le mie gambe percorrono
secondi, minuti, ore. Passo dopo passo. Perché come ci si muove nello spazio, così avviene anche nel
Tempo. Con l’unica, sottilissima, differenza: qui non siamo noi a decidere la velocità.
C’è un vecchio orologio a cipolla. E’ sospeso nel cielo, e cammina al mio fianco. Le due, poi le tre, poi le
quattro. Continuo a camminare. Le lancette girano, e i piedi si muovono. Il sinistro davanti al destro, il
destro davanti al sinistro. Stando ben attento a non pensarci troppo. Il cammino mi ha insegnato due cose,
sul fatto di guardare i piedi; la prima è che se lo faccio mi perdo il panorama. La seconda è che in più,
rischio anche di inciampare. E’ come con la Vita: più la si cerca di voler controllare, più lei rivendica la sua
libertà e ci fa finire col culo per terra.
Un passo avanti, ed un altro ancora. Le cinque, le sei. Martedì, mercoledì, giovedì. La mia strada avanza, ed
io inizio a intravedere la meta. Laggiù in fondo c’è lei: la mia stanza. Anzi, la nostra stanza. Per accedervi c’è
una porta; il mio sentiero conduce direttamente lì. Quando ho saputo che i colori potevo sceglierli io, ho
deciso di metterceli dentro tutti. Ma il bello è che ogni volta che la guardo, posso cambiarli. Posso farla
rosa, posso farla indaco. Posso attaccarci dei fiori, disegnare delle fate, o dipingere il culo di Peppa Pig.
Posso farla di legno o di ferro. Antica o moderna. Basta chiudere gli occhi, e poi riaprirli.
Abbasso la maniglia, faccio un respiro profondo ed entro. Il mio sentiero ormai continua ancora solo per
qualche secondo. Poco più avanti, un bivio. La strada che sto percorrendo si unirà ad un'altra, proveniente
dalla mia destra; poi, come a formare una “Y” rovesciata, proseguiranno uniti. Nel punto in cui i sentieri si
incrociano ho creato un piccolo spiazzo. Ci ho piantato dei fiori, messo una fontanella, e posizionato una
piccola libreria in legno. Di fianco una panchina da un lato, ed un’altalena dall’altro. Quando abbiamo
creato questa stanza, abbiamo deciso che chi sarebbe arrivato prima si sarebbe fermato qui ad aspettare.
Esattamente in questo piccolo spiazzo.
Anche il sentiero che si unisce al mio, proviene da una porta. Mi siedo sulla panchina, guardo nella sua
direzione. Quando sento dei passi il mio cuore inizia a battere più veloce. Poi la porta si apre, e finalmente
la vedo. Sono passati poco più di dieci giorni dall’ultima volta in cui siamo stati insieme, eppure riesco a
percepire tutti i suoi cambiamenti. I capelli un po’ lunghi, il sorriso differente, una espressione nuova.
Quando mi vede inizia a corrermi incontro. Io mi abbasso per abbracciarla, lei mi scansa e vola sull’altalena.
“Papi, guarda cos’ho imparato!” -grida. Io la guardo, e la lascio fare. Il nostro rapporto è un po’ come il
sistema operativo di un telefono: va aggiornato spesso. Ed è la prima cosa che facciamo, ogni volta che ci
rincontriamo. In quei dieci centimetri in più che l’altalena ha percorso verso il cielo, sono racchiuse tutte le
cose che ha imparato mentre i nostri sentieri camminavano fianco a fianco, ma distaccati. Quando ritengo
conclusa la nostra sincronizzazione, è tempo di muoversi. Ora che siamo di nuovo due strumenti accordati
alle stesse frequenze, possiamo rimetterci in cammino. Anche perché nel frattempo, la porta di uscita della
stanza ha cominciato ad avvicinarsi.
Già, perché la cosa bella quando si cammina nel Tempo, è che ci si muove anche se il corpo fermo.
La nostra stanza è splendida, ed ogni volta diversa. Se mi devo attribuire un merito, è quello di aver
riconosciuto i miei limiti. E’ per questo che l’ho creata. Guardavo i papà che riuscivano a stare seduti per
ore con i propri bambini a disegnare, oppure a stupirli con bellissimi lavoretti, e sentivo che non sarei mai
stato bravo come loro. E’ lì che ho capito che il problema non ero io. “Ognuno di noi è un genio; ma se
giudichi un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la vita a credersi stupido” –
diceva un certo Albert. Si trattava quindi solo di trovare il luogo dove potessi tirare fuori il meglio di me, in
modo tale da poterlo donare a mia figlia.
Nella nostra stanza c’è un sentiero. Attraversa prati bellissimi, passa vicino al mare, costeggia campi di
girasoli, e attraversa villaggi dove persone sorridenti parlano lingue che non conosciamo. Abbiamo una
tenda, che di tanto in tanto piazziamo da qualche parte. Ci sono degli ulivi, delle amache, ed un igloo

trasparente per dormire sotto le stelle. Possiamo scegliere di stare sulle sponde di un lago, in una casetta
nel bosco, o nella pizzeria sotto casa. In un angolo c’è il nostro salotto, in quell’opposto la pasticceria che fa
le nostre brioches preferite, ed in un altro ancora un piccolo aeroporto. Così, nel caso volessimo andare
lontano. Tutto nella stessa, magica, stanza.
Destro, sinistro, ancora destro e ancora sinistro. Devo ricordarmi di non guardare i piedi. Le sette, le otto.
Sabato, domenica. In lontananza due porte. I due sentieri che le raggiungono, prima erano uno: quello su
cui siamo ora. Avete presente la lettera “Y”?. Le strade si dividono, ma imbocchiamo entrambi il sentiero di
destra. L’ accompagno alla porta, dove ci fermiamo. Lei mi abbraccia, e non vorrebbe staccarsi.
Siamo fermi, ma la porta continua ad avvicinarsi. La apro. Al di là c’è il suo sentiero, ed è bellissimo. Prima
però c’è questa porta, e non mi è concesso superarla. Spingo mia figlia oltre la soglia: dolcemente, ma con
decisione. Richiudere mentre lei mi guarda fa male al cuore; poi ricordo a me stesso i tre obblighi che i
genitori hanno nei confronti dei figli: amare, insegnare, e lasciare andare. Nel preciso istante in cui chiudo
la sua porta, mi ritrovo davanti alla mia. Do un’ultima occhiata alla stanza, che è rimasta uguale a quando
siamo entrati. Eppure, non si percepisce nemmeno la metà della metà dell’energia che la invadeva al
momento dell’ingresso. Un po’ come quando si guarda l’appartamento affittato per le vacanze, il giorno
della partenza.
Apro la porta. Davanti c’è il mio sentiero. E’ la cosa più bella che abbia mai visto. Lontano, all’orizzonte, si
intravede una porticina. Amo mia figlia. Per questo la cose più bella che possa augurarle è avere dei genitori
felici. Destro, sinistro, ancora destro e ancora sinistro. Poi alzo gli occhi da terra, ed inizio a gustarmi il
panorama. Perché il bello di viaggiare nel Tempo, è sapersi godere la strada.
Le nove, le dieci…

 

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By |2020-01-16T14:48:31+01:00Novembre 11th, 2019|Blog, storie di papà|0 Commenti

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