Bar Papà – Estratto da La storia di Dado

Indica la matita in mano, una matita consumata da entrambi i lati.

Un lato con la punta sporca di nero, di sogni, di fumetti, di personaggi e di battute.

Un lato morso dai denti che stringono, dai pensieri, dalle preoccupazioni e dalle speranze.

“In questo lavoro più disegni e più hai la possibilità di guadagnare. Quindi mi sono buttato sulle tavole e non mi fermavo fino a sera. Volevo sostenere la mia famiglia, non fargli mancare niente.

Poi una sera mi sono fermato e mi sono guardato allo specchio. Leo era appena nato, la mia compagna dormiva sul letto e io praticamente non li avevo visti per tutto il giorno. Ero stanco.

Ma stavo diventando lo stereotipo del padre che non avrei mai voluto essere.

Quello che torna distrutto dal lavoro, da un bacetto in fronte al figlio e si butta a guardare la televisione sul divano.

Non volevo questo, non per Leo, non per noi.

Mi sono obbligato ad avere turni regolari, orari normali di lavoro, a stare con la mia famiglia per esserci come padre e come uomo.

Sono riuscito a crearmi lo studio nel condominio dove abitiamo, cerco di essere più a disposizione possibile e appena posso mi porto in giro Leo e me lo vivo al massimo”

Leo sorride nel suo marsupio. Ha rubato la matita al papà e cerca di capirne il senso. La porta alla bocca, unico modo per conoscere il mondo e la assapora sentendo il gusto di grafite e sogni.

“Me lo sono sempre chiesto. Come si diventa fumettisti? Non intendo la carriera, ma quando capisci che può veramente essere il tuo mondo?”

Sono curioso di saperlo, mi piace scoprire il pensiero che c’è alle spalle di una carriera così particolare.

“Disegno da sempre, fa quel che ricordo. Disegnavo sui banchi di scuola, disegnavo per gli amici, per la maestra ma soprattutto per me. Da quando mi hanno regalato il primo pennarello non ho più smesso. Ogni giorno, tutti i giorni, disegnavo qualcosa, prima semplici schizzi poi delle piccole storie fino a diventare intere strisce di personaggi che vivevano di vita propria.

Un giorno scoprii che qualcuno veniva pagato per disegnare. Impossibile, pensai, mi pagano per fare quello che farei gratis? Allora voglio fare questo nella vita.

Ma proprio come hai detto tu, la domanda di tutti era: bello, ma che fai per vivere a parte questo?

Mi sono scontrato con i preconcetti della mia famiglia, dell’abbandonare l’università per seguire un sogno, di avere la testa tra le nuvole e di non voler mai crescere. Pensa che ho fatto anche un lavoro vero prima di tutto questo.”
Sottolinea la parola vero, come a dire che tutto il resto è finzione impalpabile.

“Solo che arrivavo la sera distrutto e non riuscivo a mettermi con la testa e con le mani sui disegni. Stavo per abbandonare. Ma il richiamo della tavola è stato come il canto delle sirene. Mi sono detto faccio l’ultima storia e poi divento una persona seria. Seria per chi? Per gli altri? E per me? Chi sono? E la risposta è stata qui, in questa matita, in queste tavole che prendevano vita grazie a me e io grazie a loro riuscivo a vivere.”

Fa un lungo sospiro, come chi esce da sotto l’acqua dopo aver trattenuto il fiato.

Torna a respirare e guarda Leo che ride senza capire.

Oppure sorride capendo tutto ed è felice perchè finalmente il papà è felice.

“Ho mollato l’altro lavoro e mi sono buttato a capofitto nel disegno ed ora eccomi qui, con un po’ meno soldi ma con tanta vita in più”.

La tazza che ha in mano torna ad essere lentamente di porcellana, anche il bancone riappare per quel che è, le venature del legno smettono i panni del fumetto e tornano alla realtà.

“Quello che mi hanno sempre insegnato è che c’è un tempo per tutto. Per sognare, per disegnare, per crescere. Ma non mi hanno mai detto che si può crescere disegnando, che si può sognare ad occhi aperti. Che la nebbia dei pensieri può rinchiudersi in un tondo e diventare il fumo di un fumetto. Perchè limitarsi a disegnare quando si può disognare? Questo vorrei insegnare a Leo, che non esiste una sola strada, che il mondo non è per forza bianco o nero ma che esistono infinite vie e che ognuna è giusta. Basta crederci.”

Ora anche loro due sono tornati umani, Leo continua a ciucciare la matita dalla parte del legno e Dado lo guarda con gli occhi di un padre innamorato.

Ci salutiamo con la consapevolezza di essere cresciuti tutti e tre un po’ di più.

…Continua…

By |2018-11-07T07:59:34+01:00Novembre 6th, 2018|Blog|0 Commenti

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